Dal 12 al 18 luglio 2013 la mostra Architetture d’acqua. Atelier Blumer all’Accademia di architettura rimarrà aperta
martedì–venerdì 16–20
sabato 12–20
inaugurazione giovedì 11 luglio dalle ore 20.30
ingresso libero
Casabella laboratorio
via Marco Polo 13
20124 Milano
L’architettura d’acqua è un’architettura che cambia continuamente. Deve tener conto della legge del galleggiamento o prima Legge di Archimede -il peso del volume dell’acqua spostata dall’oggetto progettato immerso deve essere uguale a quello dell’oggetto stesso per non affondare-, del baricentro di una forma geometrica, del peso proprio, dell’appoggio.
Il Lago Maggiore, luogo entro cui gli studenti del corso sono stati idealmente chiamati ad intervenire, si trasforma in un giardino, superficie libera sulla quale una serie di padiglioni “stanno”, sospesi sull’elemento liquido, raggiungibili in barca e ancorati oltre che tra loro anche al fondale per mantenere la propria posizione.
Non si tratta di oggetti che per galleggiare sfruttano un piano zattera, né possiedono fondazioni subacquee o zavorre di alcuna sorta; l’essere sull’acqua è la loro caratteristica fondamentale che ne presuppone la tipologia costruttiva, nella quale spostando l’acqua stessa sopra e sotto il livello “zero”, ovvero facendo scavi e riporti, e usando anche la legge del sottovuoto della pressione atmosferica, si ottengono inaspettati equilibri. Non sono solo oggetti fluttuanti ma suggestioni di spazi che presuppongono un interno ed un esterno, che sono ottenuti scavando e riportando l’acqua stessa. In essi ogni studente ha riposto il proprio pensiero inerente un’architettura che galleggia, la cui verità di “costruzione che poggia sull’acqua”, soglia tra un mondo immerso ed uno emerso, è stata verificata attraverso la realizzazione di modelli in p-etg termoformato con la tecnica del sottovuoto. La scelta di un materiale trasparente pone un’assoluta visibilità della forma in relazione all’assenza di zavorre di sorta imposta; sono la sola geometria e le sue leggi di simmetria a garantirne l’equilibrio.
a cura di
Atelier Blumer
USI–Accademia di architettura
di Mendrisio
atelier verticale: Mario Botta
docente: Riccardo Blumer
assistenti: Matteo Borghi, Adrian Freire Garcia, Donata Tomasina
gallery manager
Carlotta Tonon
identità visiva
Tassinari/Vetta
Spesso mi immagino i primi esercizi di uno studente di architettura come l’antico passaggio oltre le Colonne d’Ercole, il cui mistero deve essere promessa della meraviglia di quello che sarà. Questa è la condizione della quale mi sento responsabile. Sarebbe interessante capire quali sono le attese dei giovani, i fattori che li spingono verso questo percorso formativo, le informazioni che ne hanno determinato le scelte e soprattutto l’immagine che essi hanno del mestiere di architetto, sebbene l’esperienza insegni che molte volte neanche loro ne hanno coscienza.
Formalmente gli Atelier del primo anno si definiscono di “introduzione all’architettura”, una formula che indica un avvicinamento alla materia escludendone, o quantomeno sospendendone, il significato di una diretta appartenenza. Distinguere quando si fa architettura e quando no, ovvero quando si è ancora in un campo introduttivo piuttosto che applicativo, è rilevante perché chiede di interrogarsi su cosa sia. Questo periodo di avvicinamento gode quindi del lusso di immaginare il limite (se esiste), senza dover definire la disciplina nel suo specifico. Imparare a porsi domande senza trovare risposte precise è il primo paradosso su cui costruire le certezze del mestiere. Questo percorso è però tutt’altro che semplice, soprattutto nel nostro momento storico, che vede la cultura progettuale fortemente aggredita dai dettami delle specializzazioni e dalla pericolosa ideologia creativa che tutto indifferentemente è giusto e bello. Tra questi due limiti ho cercato, attraverso esercizi sempre diversi, di consolidare nel corso degli anni dei parametri di “garanzia” che diano un fondamento creativo alla didattica introduttiva o, come preferisco dire, alla cultura propedeutica di questa disciplina.
Tra i vari parametri che toccano direttamente la pratica architettonica, mi interessa in particolare il senso di verità. L’architettura è una forma di espressione che modifica lo stato naturale delle cose, ovvero la realtà fisica. In tal senso essa è “vera” al pari dei fenomeni della natura, come lo possono essere un monte o un tramonto. Nell’accostarsi al progetto come modificazione degli stati di Natura, diventa inevitabile incontrare la bellezza. Per restare nell’esempio prima citato del tramonto, mentre si manifesta, l’osservatore collega in modo inconscio ed inscindibile la verità fenomenica all’estetica. Il senso della meraviglia permette allora di percepire la corrispondenza tra vero e bello ed è per questo motivo che è necessario.
Riccardo Blumer
(Progetto e didattica. La morfologia della creatività negli Atelier di primo anno tratto dal secondo “Quaderno dell’Accademia di architettura”)
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